L'urgenza di fare (senza pensare)
Gli effetti dell'action bias e le pericolose conseguenza dell'urgenza di fare
Su questo siamo d’accordo: puoi avere anche l’idea del millennio ma, senza azione e senza applicazione, rischi che i tuoi brillanti pensieri non vedano mai la luce del sole.
Dunque, è vero, senza azione non c’è cambiamento.
Ma è anche vero che troppo spesso subiamo l’effetto diametralmente opposto e finiamo per fare cose senza senso per paura di non fare abbastanza: si chiama bias dell’azione ed è un meccanismo cognitivo che può avere delle serie ripercussioni sulla qualità delle nostre scelte.
Bias dell’azione: come funziona?
L’action bias (o, nella versione italiana, bias dell'azione) è la tendenza dell’essere umano a preferire per partito preso l’azione all’inazione.
Una parte della nostra mente, infatti, tende a pensare che fare qualcosa sia comunque una scelta più sensata rispetto a non fare nulla.
Ma siamo davvero sicuri che fare sia sempre una scelta più sensata di non fare?
Quando “fare” diventa un impulso
La scelta inconscia di preferire l’azione all’inazione è chiaramente dettata da un impulso inconscio, piuttosto che da un ragionamento logico.
Così come per ogni altra euristica e ogni altro bias, anche l’action bias è il risultato della razionalità limitata di noi esseri umani.
Non sempre l’azione porta infatti a risultati migliori rispetto all’inazione: a volte, stare fermi e zitti è più utile e più intelligente rispetto a fare qualcosa solo per l’impulso di fare.
Eppure, nonostante a livello razionale possiamo comprendere perfettamente che farci influenzare dall’urgenza di agire non sia sempre una scelta saggia, continuiamo a cadere in modo sistematico in questa trappola mentale. Perché?
Le principali motivazioni per cui questo errore di ragionamento s’innesca ripetutamente nella nostra mente sono due.
Motivazione 1 / azione o morte!
Alla base di questo bias c’è sicuramente una motivazione evolutiva: fino a qualche secolo fa, non agire in tempo poteva avere delle conseguenze di gran lunga più pericolose e letali rispetto ad oggi.
Un tempo, l’inazione (o anche solo il tentennamento che precede l’azione) significava solo una cosa: maggiori probabilità di morte.
L’istinto di sopravvivenza ci ha portato quindi a sviluppare questo meccanismo cognitivo automatico, nella speranza di non finire nello stomaco di qualche belva feroce.
Motivazione 2 / azione o giudizio!
Oltre alla motivazione evoluzionistica, si aggiunge anche una motivazione culturale.
Specialmente in alcune aree geografiche del pianeta, in questo periodo storico - anno dopo anno - si è sviluppata una vera e propria cultura del fare (anzi, dell’urgenza di fare), a tal punto da convincerci che fare qualcosa sia sempre meglio rispetto a non fare nulla.
Ne è nato quindi un vero e proprio paradigma cognitivo collettivo, secondo cui se non sei costantemente indaffarato, se non hai l’agenda piena di impegni, se non hai una to-do list chilometrica… allora non stai facendo abbastanza (anche se sappiamo perfettamente che fare tanto non significa fare bene).
Un po’ come se esistesse una diretta correlazione tra la quantità di cose che fai e la qualità di ciò che sei. L’effetto dell’action bias a livello sociale, infatti, rischia di essere proprio questo: se non fai abbastanza, non sei abbastanza.
Ed è un errore che può avere delle ripercussioni davvero pericolose.
Possiamo evitare il bias dell’azione?
Hackerare il proprio cervello non è solo una questione di “saper fare”, ma anche una questione di “saper non fare”.
Da un lato, perché l’urgenza di fare aumenta drasticamente la probabilità di prendere delle decisioni eccessivamente di pancia (e di cui ci pentiremo dopo poco); dall’altro lato, perché la necessità di sentirci indaffarati - alla lunga - atrofizza il nostro cervello.
Per questo è essenziale riuscire a gestire (o perlomeno limitare) l’impatto che l’action bias può avere sulla nostra vita e sulle nostre scelte. E, fortunatamente, esiste una strategia davvero semplice per riuscirci.
La soluzione è nella tua corteccia prefrontale
Il segreto per ridurre la presenza di questo errore di ragionamento è rallentare il nostro processo decisionale: più dilatiamo i tempi, più risulta facile per la nostra mente lasciar andare gli impulsi e attivare la nostra corteccia prefrontale, l’area del nostro cervello adibita al ragionamento, alla pianificazione e alla risoluzione dei problemi.
Ma attenzione: dilatare i tempi non significa necessariamente rimandare la decisione a data da destinarsi. A volte, basta un respiro.
Anche solo qualche secondo di respirazione consapevole, spesso, è quel che ci basta per abbassare il senso di urgenza, rallentare il ritmo e migliorare la qualità del nostro pensiero. In questo modo, possiamo tenere a bada l’impulso di fare e accendere la parte più razionale del nostro cervello.
Ma ho una brutta notizia: respirare potrebbe non funzionare, se prima non accetti il NON fare.
Sei in grado di NON fare?
Prima di cambiare il respiro, devi cambiare la tua mente.
In una società sempre più portata a subire in modo esponenziale il bias dell’azione, la domanda da farsi prima di passare all’azione (appunto!) è:
Sei in grado di NON fare (senza sentirti in colpa per non aver fatto abbastanza)?
Per questo, ti lancio una sfida: quando sei capace di resistere, annoiandoti?
In un mondo sommerso dall’action bias, essere in grado di annoiarsi è un atto rivoluzionario. Ed estremamente utile da un punto di vista neuroscientifico… ma di questo ti parlerò un’altra volta!
Nel frattempo, buona noia!