Cosa ci insegna Sanremo sulla nostra mente?
Il Festival di Sanremo ha un vincitore: si chiama Effetto di Mera Esposizione, e potrebbe rovinarci la vita.
Il Festival di Sanremo si è concluso da poche ore e abbiamo un vincitore: si chiama mere exposure effect o effetto di mera esposizione.
Un meccanismo estremamente affascinante (e al tempo stesso pericoloso) che si insinua nella nostra mente e manipola le nostre scelte e le nostre preferenze.
Tanto durante il Festival di Sanremo, quanto nella vita di tutti i giorni.
La ripetizione è la madre delle preferenze
Qualcuno una volte diceva che la ripetizione fosse la madre di tutte le abilità (e, studi alla mano, aveva ragione). Ma oggi possiamo dire anche che la ripetizione è la madre di tutte le preferenze.
C’è una strana magia che si compie ogni anno al Festival di Sanremo: la prima sera, il giudizio di molte persone durante il primo ascolto di alcune canzoni è spietato: «Ma che roba è? Non mi piace!». La seconda sera, quelle stesse persone iniziano a canticchiare il ritornello senza accorgersene. E più si avvicina la finale, più s’innamorano anche di quelle canzoni che all’inizio ritenevano inascoltabili.
Ma perché succede? La risposta non è nella musica (o almeno non solo lì) ma è nei meccanismi inconsci che governano il nostro cervello e le nostre scelte.
L’effetto di mera esposizione: come funziona?
Senza entrare nel merito della qualità intrinseca delle canzoni di Sanremo, a livello cognitivo-comportamentale siamo programmati per preferire ciò che ci è familiare: è un meccanismo di sopravvivenza antichissimo che ci porta a ritenere più sicuro (e più in generale migliore) tutto ciò che conosciamo.
Proprio su questo principio si basa anche l’effetto di mera esposizione, studiato e approfondito dallo psicologo Robert Zajonc negli anni ’60. Ma in cosa consiste nel concreto questo effetto?
Questo effetto cognitivo ci dice che esporre una persona a uno stimolo più volte — una parola, un volto, un’immagine o appunto una canzone — aumenta la probabilità che essa sviluppi una preferenza per quello stesso stimolo.
E qui entra in gioco Sanremo: proprio grazie a questo effetto (o a causa di questo effetto), ogni volta che ascoltiamo una canzone il nostro cervello la registra e si abitua ogni volta sempre di più a quello stimolo, fino a trasformarlo in qualcosa che ci piace.
Quindi, la domanda è: abbiamo ascoltato tante volte quella canzone perché era la nostra preferita oppure è la nostra preferita perché l’abbiamo ascoltata tante volte?
Non c’è una risposta certa a questa domanda, ma quel che è certo è che la ripetizione gioca un ruolo fondamentale nel definire le nostre scelte e le nostre preferenze.
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Il lato oscuro (e inconscio) della ripetizione
L’aspetto forse un po’ più preoccupante di questo meccanismo cognitivo è che non si ferma al Festival di Sanremo o in generale alle nostre preferenze musicali.
In realtà, siamo manipolati quotidianamente dagli effetti della ripetizione: vale nella musica, ma vale anche nelle nostre scelte lavorative, così come nelle nostre relazioni, nelle nostre opinioni politiche e molto altro ancora.
L’aspetto più affascinante e al contempo preoccupante di questo meccanismo è che spesso agisce al di sotto del nostro livello di coscienza. In altre parole, agisce sulle nostre scelte senza che ce ne rendiamo conto, e finiamo per giustificare le scelte influenzate da questo meccanismo con altre variabili razionali (tecnicamente, parliamo di razionalizzazione della scelta).
E così pensiamo di preferire quella canzone perché ne amiamo il testo (e non perché l’abbiamo sentita in radio solo 93 volte nelle ultime 24 ore); pensiamo di preferire quel Brand di abbigliamento semplicemente perché lo riteniamo bello (e non perché siamo stati esposti alle sue costanti pubblicità o ai suoi mille post sui social); pensiamo di avere una certa opinione perché la riteniamo giusta (e non perché l’abbiamo sentita ripetere infinite volte da TG, giornali o conoscenti).
Gli esempi potrebbero essere centinaia, e sono tutti uniti dallo stesso fattore: la ripetizione influenza le nostre preferenze, influenza le nostre scelte, influenza i nostri comportamenti.
Quindi, chi sei e cosa ami (veramente)?
Il Festival di Sanremo è la dimostrazione perfetta di come il nostro cervello sia profondamente influenzato dalla ripetizione, ma come abbiamo visto l’effetto di mera esposizione ha un impatto enorme in ogni area della nostra vita.
Il nuovo non sempre ci piace, mentre ciò che conosciamo (ovvero: ciò che viene ripetuto più volte) ci piace: chi controlla la ripetizione, controlla il nostro gradimento.
Ma appunto: chi controlla la ripetizione? Molto spesso, purtroppo, non siamo noi.
È un dato di fatto: il nostro cervello ogni giorno è bombardato da miliardi di stimoli provenienti dall’esterno. Stimoli che quasi mai possiamo controllare.
Dunque, sorgono spontanee due domande:
Siamo chi siamo perché è chi vogliamo essere oppure chi siamo è il risultato di una semplice ripetizione di stimoli provenienti dall’esterno?
Amiamo veramente ciò che amiamo oppure più semplicemente amiamo quel che amiamo perché la nostra mente se ne è abituata?
Le risposte non sono affatto facili e, anzi, delle risposte certe probabilmente non esistono. Ma, come sempre, il segreto per controllare (almeno un po’ di più) la nostra mente è conoscerla: se conosci, puoi controllare; se non conosci, puoi solo subire.
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Ottima riflessione, ne parlavo tempo fa quando é uscito l’ultimo album di Tyler the Creator, Chromakopia, un disco difficile da assimilare al primo ascolto.
Infatti é stato capito solo da chi lo ha provato ad ascoltare più volte e ha compreso tutte le sfumature delle canzoni.
Un po’ come nella pratica deliberata a volte bisogna bypassare le sensazioni del primo ascolto e andare avanti finché non si comprende l’opera.
Soprattutto se questa ha più livelli di comprensione, cosa che non credo si possa trovare nelle canzoni di Sanremo.